Una crisi trasformata in gara a produrre più armi

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Nella Costituzione postbellica vennero solennemente enunciati due principi inviolabili: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21 della Carta) e “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”. Tutti gli interventi in armi comportati da alleanze devono passare al vaglio del Parlamento nazionale, come è avvenuto per le varie missioni di pace: Parlamento sul quale ricadranno le ripercussioni delle sue decisioni, come avvenne sui re quando erano i titolari esclusivi del potere di dichiarare guerra, atto complesso includente deliberazione e proclamazione. Ma già Cavour, benché lo Statuto albertino non lo prevedesse ma non immemore che sconfitto a Novara Carlo Alberto aveva abdicato al trono (23 marzo 1849), per intervenire nella guerra di Crimea volle e ottenne l’esplicito assenso delle Camere (ndr. febbraio 1855).

E ora? Tanti, troppi “media” usano brandelli di esternazioni occasionali di questo o quel personaggio più o meno famoso per estremizzare e imbalsamare il “giudizio” su quello che occorre o non occorre fare, mentre incombe una catastrofe che potrebbe essere senza ritorno. Decisa da chi? Per quali obiettivi e/o tornaconti?

L’informazione mediatica sull’andamento della fase attuale di un conflitto ormai quasi decennale si disperde nella narrazione di dettagli macabri e/pietosi che possono suscitare qualche emozione la prima volta; ma poi risultano ripetitivi e scontati agli occhi di chi sa come sono sempre andate e vanno le guerre nel mondo e si domanda che cosa potrebbe avvenire se a qualcuno scappasse il dito per passare dalle scaramucce, dal “corpo a corpo” all’Apocalisse.

Volutamente o no? Al momento viene insinuato che Vladimir Putin, presidente della Federazione russa, sarebbe in difficoltà all’interno della sua cerchia di potere, di cui poco si sa. Ma come se la passa Joe Biden, presidente degli Stati Uniti d’America? A suo riguardo la certezza è conclamata: ampia sfiducia da parte di un’“opinione pubblica” ondivaga, divisa su questioni interne (inflazione, ordine pubblico assicurato a volte con metodi barbari, che suscitano emulazioni anche nel “Paese dei Limoni”) e l’interrogativo di sempre: chi comanda davvero là? Sa che cosa dice? Per chi parla a nome di chi?

Altrettanto avviene nello spazio detto “Europa”, labile, a fisarmonica. C’erano e, per ora, ancora ci sono l’Unione Europea, i Paesi europei inglobati nella OTAN (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord), estesa sino alla Turchia), gli “altri” e poi lo spazio che nella “famiglia europea”, piaccia o meno a chi confonde la cronaca con la storia millenaria, comprende la Russia, come gli ugro-finnici, i magiari e altre etnie (ci riferiamo ai baschi, per evitare cattive interpretazioni, ma altre molte potremmo citarne).

Constatato che l’Unione Europea non ha né una politica estera unitaria, né una forza militare e neppure una moneta unica (alcuni suoi membri usano l’euro, altri no), non ha insomma un governo effettivo ma solo competenze circoscritte e vincolate all’approvazione degli Stati aderenti (tanto che è prevista l’unanimità sulle decisioni vincolanti), almeno una volta all’anno è doveroso domandarsi chi in questa babele di idiomi parli “con lingua diritta”. Alla Pasqua ortodossa potrebbe essere il giorno giusto per fare pulizia e sgomberare il campo da ambiguità ed equivoci.

Il papa: Vox clamantis in deserto?

L’Uomo della Strada da decenni ha trovato un’unica voce limpida e coerente: quella dei papi di Roma, da Giovanni XXIII a Paolo VI, da Giovanni Paolo II (che confutò radicalmente il concetto di “guerra giusta”) a Benedetto XVI (lapidato, almeno a parole, perché avanzò pacate riserve sulla compatibilità tra islamismo e “diritti dell’uomo”, comprendenti quelli delle donne) e all’attuale Francesco. Per l’eterogenesi dei fini, le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino hanno fatto da supporto agli imperi coloniali. La Dottrina Monroe (1823) ha consentito agli USA (all’epoca una piccolezza: dieci anni prima gli inglesi avevano saccheggiato e incendiato Washington) di soggiogare gli imperi ispano-portoghesi dal Messico alla Terra del Fuoco. La Lega delle Nazioni dal 1919 è stata la pedana per l’ulteriore spartizione degli spazi afro-asiatici a beneficio di “mandatari”. Eccetera eccetera… Tutti quei solenni documenti sono rimasti parole e l’Organizzazione delle Nazioni Unite non hanno mai impedito lo scoppio di guerre dalla genesi non del tutto chiara, dagli obiettivi taciuti e dalle prospettive peggio che fosche.

Perciò nella confusione dilagante emerge l’appello del papa alla pace, che vuol dire semplicemente un “alt” immediato e perpetuo alle operazioni belliche, alla gara a chi fa più danni al nemico (e pazienza per quelli “collaterali” sia sui nemici sia sugli amici) e gioiosamente sperimenta armi novissime sempre più sofisticate e micidiali, proprio come nell’Apocalisse. Senza quell’“alt”, la guerra ora in corso (ormai poco conta chi, quando, come l’ha preparata e iniziata) può andare avanti a tempo indeterminato, perché non è conflitto tra “popoli”, ideologie, principi o valori, ma tra sistemi di produzione bellica: conferisce corpo e volto definitivo alla Terza Guerra Mondiale “a pezzi”, paventata da papa Francesco nel memorabile Discorso di Redipuglia (2014).

Aldo A. Mola

 

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