Stiamo attenti ai “miglioramenti”

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La Presidenza della Repubblica va bene così com’è.

Va dato atto ai Costituenti di aver blindato la figura del capo dello Stato nella maniera più pacata: copiarono quasi parola per parola lo Statuto albertino passato dal regno di Sardegna a quello d’Italia e durato cent’anni malgrado tante vicissitudini e tragedie. Che cosa potrebbe aggiungere alle prerogative del capo dello Stato la sua elezione popolare? Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere, presiede il Consiglio superiore della magistratura, può concedere la grazia e commutare le pene, conferisce le onorificenze dello Stato, accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere, nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri e, come già detto e conviene ricordare, “rappresenta l’unità nazionale”. Non bastasse, a differenza del Re, che era tenuto a firmare senz’altro le leggi deliberate dal Parlamento, il presidente della Repubblica “prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione”. Deve promulgarla solo in caso di nuova approvazione (art. 74 Cost.).

Proprio per la vastità dei suoi poteri è opportuno che il capo dello Stato continui a essere eletto dalle Camere anziché dalla prevedibile furibonda contrapposizione tra “tifoserie”, costrette, per prevalere, a estremizzare i motivi di conflitto e a soffocare le legittime identità e diversità all’interno di coalizioni che cesserebbero di essere convergenza tra affini e diverrebbero unioni coatte, a tutto vantaggio della forza maggioritaria, tentata di fagocitare gli alleati e soffocare le minoranze interne, a tutto danno del pluralismo, patrimonio irrinunciabile della democrazia parlamentare. Infine, elezione diretta del Capo dello Stato vuol dire rischio del dominio della piazza e di pulsioni umorali in un Paese che nel corso della storia si è mostrato incline all’osanna e al crucifige e possibile sovrapposizione del presidente della Repubblica alle altre Istituzioni, a cominciare dalle Camere, e in definitiva, all’abdicazione da parte degli elettori alla loro sovranità proprio mentre votano. Anziché garantire la democrazia, cioè il pluralismo, l’elezione diretta del capo dello Stato genera la tirannide di una minoranza di votanti sulla maggioranza dei cittadini. L’Italia ha già dato…La storia invita alla riflessione e alla prudenza.

La Presidenza della Repubblica sta bene così come è, non troppo diversa dalla monarchia rappresentativa alla quale si deve la nascita dello Stato d’Italia, sorto appena 161 anni fa: il più “giovane” dell’Europa centro-occidentale. Forse anche per questo motivo non suscita affatto scandalo la rielezione del Capo dello Stato, quando risulti garante di stabilità del Paese nel quadro dei suoi vincoli internazionali e nel rispetto dei diritti non negoziabili che sono alla base della Costituzione vigente come erano in nuce nello Statuto albertino.

Le proposte in campo per il voto del 25 settembre: Presidente del Consiglio come “sindaco d’Itala”?

L’accordo quadro di programma della coalizione Forza Italia-Lega-Fratelli d’Italia, probabilmente prevalente alle elezioni politiche del 25 settembre 2022, al punto 3 (Riforme istituzionali, della Giustizia e della Pubblica Amministrazione secondo la Costituzione) propone la “Elezione diretta del Presidente della Repubblica”. La riflessione sulla storia conduce a concludere che essa non si addice all’Italia. Anche la coalizione “Azione-Italia Viva”, cioè il “Terzo Polo” guidato da Carlo Calenda e Matteo Renzi, propone una profonda revisione del Titolo V della Costituzione alla luce delle misure adottate per contenere gli effetti della pandemia di covid-19 e sue varianti, quando emerse imperiosamente la necessità della clausola di supremazia dell’interesse nazionale su pulsioni particolaristiche. A differenza dell’accordo quadro FI-Lega-FdI, il “Terzo Polo” propone l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri sul modello dei sindaci delle città più grandi, che verrebbe implicitamente designato dal voto popolare. L’elezione “diretta” del capo del governo mette in discussione la prerogativa fondamentale del rapporto tra capo dello Stato e presidente del Consiglio. La Costituzione vigente riserva al primo la nomina del secondo, al quale spetta la scelta della rosa di ministri da proporre al capo dello Stato per la nomina di rito (art. 92 comma 2). La riforma prospettata da “Azione-Italia Viva” è dunque gravida di incognite per le istituzioni supreme dello Stato.

L’elezionepopolaredel capo dello Stato

La proposta del centrodestra suscita perplessità anche maggiori. In primo luogo anziché di “elezione diretta” sarebbe meglio parlare di “elezione popolare”, in linea con l’art. 1 comma 2 della Carta, senza però trascurare che la sovranità del “popolo” va esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione” stessa. Come è stato osservato da autorevoli costituzionalisti, ma con prevalente attenzione per aspetti formali di architettura della Carta, la cosiddetta “elezione diretta” richiederebbe un’imponente serie di riforme ulteriori della Costituzione. Poiché l’elezione popolare ha il carattere di “plebiscito” o (come scrive la Carta) di referendum occorrerebbe in via preliminare stabilire le garanzie minime di validità del pronunciamento. Chi lo indice? E quale dovrebbe essere la percentuale minima di partecipanti e di voti validi per rendere la consultazione politicamente rappresentativa? E a chi dovrebbero essere indirizzati eventuali reclami su svolgimento ed esito della consultazione?

Alle obiezioni di natura tecnica se ne aggiungono altre, di maggior peso, che si basano sull’esperienza della storia.

Di buono c’è che questo Parlamento è sciolto. Ha fatto tutti i danni possibili, compresa la drastica riduzione dei componenti delle Camere da eleggere il 25 settembre. Da lì la rissa, a volte indecorosa, tra gli aspiranti allo scranno, da alcuni inteso come sedia a dondolo quasi vitalizia in attesa dell’ascesa spontanea al Colle più alto (nessun riferimento al “democratico” Pierferdinando Casini). A differenza del Senato, la Camera dei deputati non ha varato le riforme regolamentari minime indispensabili per agevolare l’opera di quella eligenda. Il suo avvio sarà quindi molto travagliato dopo il voto del 25 settembre.

Aldo A. Mola

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Un commento su “Stiamo attenti ai “miglioramenti””

  1. Non sono d’accordo. L’elezione del Capo dello Stato non può essere il risultato di un accordo tra le segreterie dei partiti. L’elezione diretta bypassa i giochi di potere e rappresenta una delle poche occasioni in cui il popolo possa esprimersi nel bene e nel male.

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