La Meloni, il G7 e i miliardi della Russia

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In questi giorni si svolge la solita parata  annuale di ‘oligarchi’ occidentali in un grande albergo a Davos, in Svizzera, con il solito presidente ucraino a chiedere soldi, dei russi e occidentali. Il Giornale.it segnala il tutto esaurito per le ‘escort’ mentre si svolgono convegni sulla parità di genere. Un copione già visto più volte. In Italia cosa ci riserva il futuro? L’evento più importante, a parte le elezioni europee, è il prossimo G7 in Puglia. Il Governo, con la Meloni in testa, sarà l’anfitrione tra pochi mesi, il 13-15 giugno, del prossimo vertice. Alcuni economisti internazionali (Ae Global Solutions – Ask-Socrates.com) analizzano l’ipotesi che al G7 potranno essere prese decisioni che potrebbero portare ad un’enorme crisi finanziaria internazionale, creando le premesse per un vulnus all’economia mondiale. È noto che, dall’inizio della guerra in Ucraina, tutti i Paesi Occidentali hanno congelato le riserve della Russia depositate nelle banche Europee e Americane; l’importo globale stimato dovrebbe essere di circa 300 miliardi di dollari.  Molti Paesi, inoltre, hanno congelato beni privati di cittadini russi ubicati nel loro territorio; hanno fatto notizia soprattutto le ville dei cosiddetti “oligarchi” in Italia, in Costa Azzurra, a Londra, come pure yacht e panfili ormeggiati nei porti del Mediterraneo. Recentemente la stampa ha riportato più volte che il Congresso USA non ha concesso all’Esecutivo del presidente Biden un incremento di aiuti militari all’Ucraina, a meno di un pari stanziamento per la messa in sicurezza del confine con il Messico, per limitare i flussi incontrollati di persone.  Di conseguenza, nell’Esecutivo Biden sta prendendo piede l’idea (*) di “sequestrare“ i fondi congelati della Russia e di “consegnarli” all’Ucraina per sostenere la guerra. Il sequestro di fondi di Stati sovrani che non siano in guerra aperta con i detentori dei fondi, come pure il sequestro di beni di privati è totalmente illegale secondo il diritto Internazionale ed è vietato anche dal quinto Emendamento degli USA.

Il punto è che solo il 5% dei fondi russi è depositato negli USA, il 95% è nei Paesi UE e in Gran Bretagna. Pertanto, questa decisione dovrebbe essere presa congiuntamente dagli USA e dai suoi alleati, in particolare dai Paesi del G7. Se la UE lo autorizzasse di fatto giustificherebbe l’estensione della guerra convolgendo Bruxelles. Sarebbe una totale follia, per via delle ripercussioni internazionali. Intanto alcuni fanno osservare che si tratterebbe di consegnare 300 miliardi di dollari “cash” all’Ucraina e non di armi ed equipaggiamenti militari. Si potrebbe anche ipotizzare un uso non consono dei 300 miliardi da parte di Zelensky, degli oligarchi ucraini e dei membri del suo governo, invece che armi (oramai di difficile consegna da parte dei produttori) potrebbero comprare in contanti non solo una villa a Miami, ma bensì tutti i beni immobiliari della Florida, oppure comprare gli immobili di mezza Londra o di mezza Parigi (presumibilmente la popolazione povera dell’Ucraina non li vedrebbe nemmeno con il binocolo). C’è da sperare che il Governo Meloni non cada in trappola, approvando una tale decisione. Ma la situazione drammatica sarebbe data dai risvolti finanziari internazionali. Difficile pensare che la Cina mantenga qualsiasi obbligazione o Titolo di Stato statunitense o occidentale, perché sarebbe la prossima vittima finanziaria nella lista dei desideri di qualunque Governo, sia USA, UE o Inglese che volesse instaurare contenziosi col governo di Pechino.

La Cina ha prestato quasi mille miliardi di dollari a circa 150 paesi in via di sviluppo, ovvero meno del 10% del suo debito interno. La Cina si è dimostrata riluttante a cancellare gli ingenti debiti di alcuni Paesi in via di sviluppo che si trovano in difficoltà nei rimborsi a causa dell’apprezzamento del dollaro negli ultimi anni. Oggi si sta verificando una crisi del debito nei mercati emergenti perché questi Paesi hanno contratto prestiti in dollari e ora stanno lottando per far quadrare i conti. In aggiunta a ciò, la Cina sta affrontando una crisi del debito interno pari – di trilioni di dollari – dovuti dai suoi Enti o governi locali, che sono per lo più poste finanziarie non contabili e debiti di sviluppatori immobiliari. C’è da ricordare che qualsiasi Paese al mondo, sia in via di sviluppo o di economia avanzata, può contrarre Debiti in una valuta non sua, e in genere si usa il dollaro. Lo stesso accade per la Cina, può concedere prestiti a Paesi terzi non in Yuan, ma in dollari, che sono più commerciabili nella finanza internazionale.

In questa ottica va capita la visita in Cina di Janet Yellen nel luglio 2023. Raccontando della sua visita a Pechino, Yellen affermò di essere andata per convincere la Cina a cooperare maggiormente per affrontare una crisi del debito in evoluzione tra i paesi dei mercati emergenti. Il sistema bancario cinese è però restio nell’accettare perdite su prestiti fatti all’estero quando al momento deve affrontare perdite molto maggiori su prestiti interni alla Cina. In realtà l’affermazione della Yellen sembra una scusa per mascherare altro: doveva assicurarsi che la Cina non svendesse le riserve in Titoli di Debito del Tesoro americano. Dopo la visita di Yellen, le riserve cinesi sono diminuite per tre mesi, ma verso la fine dell’anno sono salite a nuovi massimi, non si trattava unicamente dei Titoli di debito statunitensi, ma anche di altri Paesi (**). Oggi il Debito del Governo Federale USA è attorno al 130% del PIL, se si dovessero aggiungere i debiti privati delle famiglie, aziende, governi locali e municipalità, si arriverebbe ad una cifra del 257% del PIL americano.

Quindi, mal comune, mezzo gaudio, né gli USA né la Cina crolleranno sotto il peso del debito, hanno situazioni abbastanza simili. Il problema è che gli Enti locali cinesi e le imprese hanno contratto debiti nella valuta dollaro, pensando di risparmiare sugli interessi (***). Quindi la crisi cinese provoca oggi nel paese una contrazione dei consumi, un rallentamento economico e la mancanza di fiducia dei cinesi per spendere e magari indebitarsi.  Inoltre, vari esponenti americani continuano a predicare la guerra e persino alcuni generali americani si vantano che tra pochi anni si sarà in guerra con la Cina. Ovviamente la spesa dei consumatori in Cina non tornerà al livello di prima con la minaccia di guerre all’orizzonte.

Se la Cina dovesse subire pesanti perdite sui prestiti sia all’interno del Paese come nei prestiti all’estero, si creerebbe una reazione di impopolarità fra la gente e si alimenterebbe un crescente nazionalismo. Sicuramente il Governo cinese otterrebbe un sostegno dell’opinione popolare molto maggiore ad invadere Taiwan. Se la Cina deciderà di invadere Taiwan, molto probabilmente lo farà per distogliere l’attenzione da una crisi del debito interno, attenzione che si focalizzerebbe sul nazionalismo e l’annessione finale alla Cina continentale dell’isola oggi separata.

Fabrizio Gonni

Laurea in Ingegneria, MBA Economia Aziendale. Componente ISPG – Istituto Studi Politici Giorgio Galli

mail: gonni@istitutostudipolitici.it

 

 

 

  • Euronews.com riporta che solo la scorsa settimana la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova aveva definito la possibilità che gli Stati Uniti confischino beni russi per 300 miliardi di dollari una “pirateria del XXI secolo”. Secondo Zakharova il furto di proprietà statali, private e pubbliche è diventato un biglietto da visita degli anglosassoni: “Washington e Londra lo fanno da decenni, prima, però, veniva chiamato diversamente, ad esempio pirateria”.

** Tuttavia, le riserve cinesi avevano raggiunto il picco nel giugno 2014 a 4.010 trilioni di dollari quando l’Europa ha portato i tassi di interesse a negativi. Da allora, le riserve estere della Cina sono diminuite del 20% dal dicembre 2023.

Il commercio con la Cina degli USA è diminuito rispetto al suo picco nell’ottobre 2018. Il Debito statunitense detenuto da enti e Stati esteri aveva toccato il picco di 7.740 trilioni di dollari durante il quarto trimestre del 2021. Alcune analisi stimano che il Debito interno della Cina, comprendendo non solo il debito dello Stato centrale ma quello delle famiglie, delle aziende e dei governi locali, sia tra il 200 e il 300% del PIL.

 

*** Quando il tasso sul dollaro era dello 0,50%, quello cinese sullo Yuan era sempre attorno al 5%. La situazione critica dei default di imprese cinesi è grave se hanno debiti in valuta dollaro e meno se sono in valuta Yuan.  Inoltre, per i dollari, esiste sempre il rischio del cambio che può fare apprezzare o deprezzare una valuta.

 

 

 

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