L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro

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Le cronache di questi giorni ci rattristano con notizie di imprese che licenziano o i cui lavoratori sono comunque a rischio licenziamento a breve per inattività o incentivati all’uscita: Abb (circa 100 lavoratori), Albini (116), Bekaert (113), Cementir (51), Gkn (422), Gianetti Gomme (152), Stellantis (800), Timken (106), Whirlpool (327) ed altri. Imprese e fondi di investimento chiudono stabilimenti economicamente non sostenibili, in alcuni casi spostando la produzione in altri paesi ed in altri casi interrompendola definitivamente. A nulla è valsa la maldestra norma varata dall’allora ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio – Governo Conte ( D.L. n. 87, 12.07.2018) che tentava di fermare le delocalizzazioni sanzionando le imprese beneficiarie di aiuti agli investimenti produttivi che avessero trasferito la produzione all’estero, minaccia che – come prevedibile – non avuto gli effetti ipotizzati dall’estensore. L’attuale ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, ha appena tuonato “Bisogna responsabilizzare di più le imprese e legarle con più forza al Paese nel quale operano e dal quale ricevono sussidi”. Si parla solo di contrasto al fenomeno, quindi in termini negativi, di opposizione, con “sanzioni”. Legare le imprese all’Italia è un tema politico complesso e di difficile articolazione, sia per la situazione del Paese che il notevole numero di cointeressati animati da interessi divergenti. Il legame tra una Impresa è il Paese è un matrimonio di interesse; se una delle due parti non è soddisfatta il divorzio è inevitabile. I ruoli delle imprese e della politica sono diversi e complementari: le imprese investono e creano il lavoro, il sistema politico e il Governo, devono creare e mantenere un sistema-paese attraente per l’investitore. C’è da chiedersi come l’investitore-decisore decide dove localizzare l’impresa, quali sono i principali parametri presi in considerazione. Il Governo dovrebbe porsi due semplici domande: “il Paese attrae o respinge l’investitore?”, “cosa devo modificare per rendere il Paese attraente per l’investitore?”.

I comportamenti di molte imprese quali Alcoa, FIAT, Mediaset e molte altre che possono aggiungersi all’elenco in apertura, confermano lo scarso interesse di molti società e investitori per il nostro Paese. Un investitore decide sulla base di molti parametri di valutazione del rischio paese, disponibilità di lavoratori qualificati, livello di tasse ed imposte, stabilità normativa, tempi certi per l’ottenimento di autorizzazioni e della giustizia, livello della corruzione, infrastrutture ed energia, diritto del lavoro e sindacalizzazione, sicurezza, sanità, sistema bancario ed accesso al credito, regole doganali, potenzialità del mercato interno ed esterno, ecc.

Una possibilità concreta è quella di effettuare le riforme richieste dal PNRR, per accedere ai fondi Next generation Eu. La nota flessibilità italica nel settore privato di realizzare veloci cambiamenti è di buon auspicio se anche il settore pubblico e la Pubblica Amministrazione faranno altrettanto. Occorre seguire i primi passi del Governo e del Parlamento nell’attuare la prima riforma in pista, quella del ministro Cartabia sulla giustizia, per capire se siamo veramente sulla strada giusta. La volontà di Draghi di porre la fiducia sul testo Cartabia è un segnale di allarme.

Ottorino Maggiore van Beest

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