Che fine faranno i nostri soldi?

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Le nuove monete digitali

In tanti si sono persi l’annuncio del FMI, Fondo Monetario Internazionale, della adozione di una nuova valuta, detta UNICOIN. Va bene che siamo un po’ frastornati dalle tante notizie: da quella sulla possibile ‘rimonta’ dell’Ucraina a quella dell’accordo di divorzio tra Totti e la Blasi, a Milano, dal Salone del Mobile che ha invaso la città alla “lettura critica” del concetto di natalità dei nuovi progressisti (affermazione di razza).

Però, se la notizia è veramente grossa, nessuno ne parla. Silenzio assoluto nei TG, per cui non si sa bene cosa sia e come funzioni. Non si sa se sia totalmente digitale, se sia almeno controllata da una blockchain (come i Bitcoin) che ne limitano il mining, cioè la produzione, oppure una cosa libera che si emette a capocchia, secondo il momento. Ricordiamo che il FMI in realtà concede finanziamenti e prestiti in genere a Stati Sovrani o Enti analoghi, che sono denominati nella valuta DSP – Diritti Speciali di Prelievo – o in inglese SDR – special drawing right.

In genere un DSP è un mix ponderato di un paniere di valute, delle quali la maggior componente è in Dollari e Euro e in misura minore da altre valute. Abbiamo letto recentemente sui giornali che la Tunisia è disperata perché aspettava un prestito di 2 miliardi di $ in DSP, che non si materializzavano mai. Pare che quindi si sia rivolta ai BRICS – Brasile, India, Russia, Cina e adesso Iran e Saudi Arabia – per avere il prestito in un mix delle loro valute. Come tutti sanno, ricevuto un prestito, poi occorre restituirlo e qui sta il problema. Spesso i Paesi emittenti, USA e Occidente, in accordo con il FMI, abbuonano parte del rimborso ai paesi semi disastrati, in via di non sviluppo. Ovvero coprono loro il rimborso al FMI, in cambio di accordi. Ma veniamo al punto sull’utilizzo del prestito: in genere il Paese ricevente lo chiede per qualche obiettivo, anche se soprattutto è per fare cassa e sostenere la propria valuta. Se non lo si spende per l’obiettivo indicato, non è un problema, nel senso che la moneta ricevuta è “neutra”, ovvero vale per qualsiasi uso si decida di fare.

Guerra al contante

E qui si pone il problema della moneta digitale. In teoria e pratica, essendo digitale, si presume, sottoposta a una blockchain, ogni singola MonetaBit è identificata e scambiata attraverso la blockchain che tiene traccia dello scambio. Oggi nessuna Banca Centrale controlla i Bitcoin, che per questo sono il rifugio dell’anonimato, mentre se uno porta 10.000 $ o euro in contanti in banca, tutti gli chiedono come, perché li ha, da dove arrivano ecc… A questo punto si inserisce il progetto della CBDC, Central Bank Digital Currency, ovvero una – o più – monete digitali emesse dalle Banche Centrali. Potrebbe essere una sola mondiale, oppure potrebbero esserci i Dollarcoin, gli Eurocoin etc… La perplessità è che, in teoria, se si usa un algoritmo di mining per la produzione, ogni Eurocoin sarebbe tracciato, ovvero si saprebbe a livello di Banca Centrale o di Governo, come ogni Cittadino spende i suoi soldi, dove e in cosa. Ad esempio, potrebbero essere valide per acquisti entro una certa data o entro una distanza definita dalla residenza. Un po’ come fanno certe multinazionali, come Netflix: uno paga e Netflix decide cosa darti come programmazione, cosa puoi vedere e in quanto tempo. In effetti il cittadino è schedato in un sistema di Digital Right Management, gestione dei diritti digitali.

Siamo nelle mani di chi?

Ma se il Governo (chi per esso o di quale gestore) decidesse che certe classi di cittadini, per idee politiche o altro, non possono acquistare certi prodotti o servizi, basta semplicemente inibire l’uso della valuta per certi scopi, attraverso dei blocchi imposti a questo Digital Right Management . Ad esempio, se uno può spendere l’80% del reddito nel mese (se può o non può risparmiare) oppure viceversa. Direi che questi punti sono già inquietanti. Prossimamente si potrà capire cosa avranno come sottostante queste valute digitali.

Fabrizio Gonni

Laurea in Ingegneria, MBA Economia Aziendale.

Componente ISPG Istituto Studi Politici Giorgio Galli

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