Violenze tra guardie e ladri. Il potere della droga nelle carceri

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Sono notizie quasi nascoste quelle provenienti dal mondo carcerario, salvo il caso di Santa Maria Capua Vetere di settimana scorsa:

Santa Maria Capua Vetere: depositato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico di 120 persone, tra poliziotti della Penitenziaria e funzionari del Dap accusati a vario titolo dei reati di tortura, lesioni, abuso d’autorità, falso in atto pubblico, e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino…”

Le altre news riguardanti il dilagare della droga e del suo nefasto potere sono rintracciabili nelle brevi:

Poliziotto preso a morsi da un detenuto nel carcere di Ariano Irpino…”
“Traffico di stupefacenti scoperto all’interno del carcere era gestito da due detenuti, di 36 e di 31 anni, con la complicità di un sovrintendente della polizia penitenziaria, di 51. Le Fiamme gialle che hanno eseguito un’ordinanza cautelare, emessa dal gip su richiesta della Dda etnea …”

Il bilancio del sindacato della polizia penitenziaria: «Circa 50 aggressioni ed episodi di violenza di detenuti al personale penitenziario, con un centinaio di agenti che hanno dovuto far ricorso a cure mediche; episodi di rivolte con personale sotto sequestro per ore; quantitativi di stupefacenti di vario genere sequestrati in cella; una decina di telefonini, sim, caricatori rinvenuti»”.

Su questo tema CIVICA ospita l’intervento qualificato di Antonio Nastasio, ex dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, in quiescenza (estratto da Bergamonews.it).

Agenti aggrediti in carcere

Quello che stupisce non è tanto la serie di pestaggi, fughe, ed aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria, ma la richiesta di un importante sindacato di categoria di chiedere un presidio di controllo in carcere, per quanto attiene lo smercio della droga tra detenuti. Un vero atto di coraggio, quello di un organo sindacale O.S.A.P.P – Organizzazione Sindacale Autonoma polizia Penitenziale- che ammette una cosa grave all’interno di una struttura che ha il compito di contenere persone per rieducarle; impensierisce il potere della droga di invadere in modo massiccio le carceri, superando ogni barriera. Si dovrebbe porre fine a questo stato di cose con la ristrutturazione dell’attuale organizzazione delle sezioni carcerarie, per definire bene il lecito e il proibito. Questo necessità coinvolge tutti gli operatori della custodia che a male voglia temono più che verso loro stessi, ritorsione dei clan dei detenuti, verso i propri familiari.

È lecito domandarsi perché l’illegalità in carcere è divenuta sistema. I fatti dei pestaggi violenti di Santa Maria Capua Vetere ad opera di agenti verso detenuti, sono inconfutabili, orribili e non giustificabili, in una situazione di frustrazione e/o di ricatto ai quali, gli agenti di polizia penitenziaria quotidianamente possono essere sottoposti. In queste situazioni quotidiane di conflitto, si decide cosa è legale cosa non lo è, spesso sulla base di convinzioni o peggio per interessi personali. Lo stesso linguaggio utilizzato in carcere diventa veicolo di conflitto tra detenuti ed agenti di reparto. Si determina sovente una scelta di campo che se rafforzata da atti scritti, fa prevalere una teoria sull’altra, e come si sa, le ideologie non hanno come fine il buon esito di un’azione, ma solo la prevaricazione di una parte sull’altra, somministrando la punizione. Quindi personalismi e potentati personali diventano i gestori della situazione, privi di ogni fondamento di potere legale, ma fondate sulla rivalsa e sull’uso della forza e della vendetta. Ma quale forza? Non solo quella fisica, esistono altre forze come quella della persuasione e del confronto. Il rapporto detenuti/agenti di custodia per ottenere e gestire l’ordine all’interno nel carcere favorisce le anteposte posizioni, spesso costituite in clan di potere avverse e con interessi insanabili, favorisce l’odio di status, di casta, di appartenenza non solo tra detenuto e custode ma tra agente di reparto e gerarchia penitenziaria, in particolare dopo le nuove nomine dirigenziali dell’amministrazione penitenziaria. Un’incrinatura questa, che va ad incidere nell’operare giornaliero, peraltro di un lavoro tra i più delicati che la Costituzione affida a degli uomini: il “tutelare“ un assembramento di altri uomini che hanno mostrato propensione, almeno nella vita trascorsa, a non rispettare le regole sociali e giuridiche. Un odio nutrito costantemente con l’ accondiscendenza, la gratificazione o esaltazione non per quello che si fa ma per quello che si è, sia come detenuti che come polizia: per il recluso la notorietà del crimine o di appartenenza danno visibilità e potere all’interno della sezione, per la polizia di reparto la frustrazione e la non considerazione divengono strumenti di non affermazione di sé, superato tramite l’eccesso violento nell’affermare un ordine o un comando ricevuto da altri , che diviene anche affermare di se stessi. Se non si procede ad un cambiamento di rotta tanto forte quanto repentino, lo stato di conflittualità tenderà ad aumentare, con la fuga dal posto di lavoro in ambito penitenziario verso lavori più gratificanti in altre amministrazioni. Così sono stati promossi dei funzionari di polizia penitenziaria per allocarli altrove, fuori dal carcere. Questo non rappresenta una buona gestione delle risorse; occorre invece che tutto rientri nei precetti istituzionali definiti nelle leggi quadro, senza invenzioni strane. Una realtà come quella carceraria va vissuta, condivisa, considerata ancora di più se si hanno maggiori responsabilità, altrimenti non hanno senso tanti dirigenti ammassati negli uffici a dare disposizioni a catena, fino ad arrivare all’ultimo agente appena arruolato lasciato solo nel reparto.

La proposta del sindacato di categoria di istituire un organo che contrasti l’uso della droga in carcere, va considerato in modo positivo, per stroncare il commercio della droga ed anche altri tipi di illeciti. Andrebbe migliorata l’operatività dei reparti, ponendo a capo nuovi dirigenti di Polizia Penitenziaria per migliorare quella parte del carcere ora riconosciuta come punizione per chi ci lavora: il reparto. Spetterà loro riportare la legalità, il rispetto, l’attenzione, e ancora di più nel dare una risposta personalizzata al bisogno del carcerato.

Antonio Nastasio

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