Pallante, Bartali e l’attentato a Togliatti

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L’agenzia AGI il 2 gennaio 2023 ha dato la notizia che Antonio Pallante è morto a Catania a 98 anni, stava per compierne 99. La morte è avvenuta il 6 luglio scorso, i familiari avevano tenuto il fatto riservato. Ai giovani il nome di Pallante dirà ben poco, è roba vecchia che comunque fa rumore lo stesso, come quei colpi calibro 38 che portarono l’Italia sul crinale della guerra civile il 14 luglio del ’48. Pallante fu arrestato e condannato a 13 anni per tentato omicidio. Liberato dopo cinque anni per amnistia, tornò al suo paese in Sicilia e non venne mai rivelato il mandante della sua solitaria azione. Togliatti guidò il Partito Comunista fino al 1964. Però, l’attentato svelò che Togliatti aveva un’amante (Nilde Iotti), con cui era uscito da Montecitorio su via della Missione, che probabilmente lo salvò dal quarto colpo. Qui sotto la prima pagina dell’Unità del giorno dopo. Nel box a destra si segnala il telegramma firmato Stalin, un documento storico da leggere e meditare con attenzione:

I misteri dell’attentato a Togliatti

di Giovanni Fasanella

In questi giorni tutti i giornali hanno pubblicato la notizia della morte di Antonio Pallante, il militante di destra che il 14 luglio 1948 attentò alla vita di Palmiro Togliatti. Per decenni, l’episodio è stato raccontato come il gesto di un «folle» o di un «idealista» che voleva eliminare «l’uomo di Stalin». L’Italia, come sappiamo, arrivò a un passo dalla guerra civile ma poi, narra un’altra leggenda metropolitana, Gino Bartali vinse il Giro di Francia e, sull’onda dell’entusiasmo, rivoluzionari comunisti e controrivoluzionari deposero le armi e se ne tornarono tutti a casa… Fine. Le cose però, andarono diversamente. E gli studiosi, se volessero, oggi potrebbero raccontarla davvero, quella storia. Senza dietrologie, basandosi esclusivamente sui documenti disponibili in Italia e all’estero, negli archivi dei partiti e in quelli di Stato. Sono trascorsi 74 anni da allora, e le ragioni che un tempo consigliavano prudenza sono tutte venute meno. O no? Un lettore ha così commentato, questo invito che ho scritto in un post su Fb appena avuta la notizia:

«Se avesse usato un revolver decente in calibro decente, Togliatti sarebbe certamente morto e in Italia avremmo avuto la guerra civile. Non si va a fare un attentato del genere con un revolver in calibro 38 s.w. corto, molto debole, caricato con cartucce con proiettili in piombo nudo. Mi pare opera di uno sprovveduto (e ci è andata bene)».

In effetti molti si concentrano su aspetti marginali dell’episodio, ridimensionando la figura dell’attentatore e riducendo il tutto allo sgangherato gesto di un folle idealista. Quel 14 luglio va invece inserito nel contesto drammatico degli eventi che si verificarono nella fase di passaggio (1944-1948) dal fascismo alla democrazia, dalla monarchia alla repubblica, quando molti volevano il «lago di sangue» per impedire il compromesso costituzionale fra Dc e Pci. E’ una pagina di storia ancora poco nota, o troppo imbarazzante per essere detta. Eppure, se ricostruita in modo organico e con metodo, farebbe capire molte cose della nostra Prima Repubblica, dalla nascita al traumatico declino. E proietterebbe un fascio di luce persino sul nostro complicato presente.

Cereghino ed io abbiamo portato un piccolo contributo con il libro “Le menti del Doppio Stato”, pubblicato da Chiarelettere nel 2020. Se qualcuno è interessato ad approfondire, lì può trovare molte notizie documentate. Intanto, va chiarito un punto: il 14 luglio fu solo un anello di quella catena di fatti che a ragione potremmo definire il “lungo attentato” alla vita di Togliatti, una sequenza impressionante di episodi durata almeno un decennio. Eccoli:

-Il leader comunista sfuggì una prima volta alla morte la mattina del 20 ottobre 1944. Quel giorno, furono trovati 60 chili di tritolo in una sala del Viminale proprio accanto a quella in cui stava per riunirsi il governo di unità nazionale presieduto da Bonomi, di cui Togliatti era ministro. Soltanto un miracolo riuscì a impedire la strage.

-Esattamente un anno dopo, il 29 ottobre 1945, la stazione francese del servizio informazioni del Pci intercettò un altro piano per eliminare il segretario: lo avevano progettato a Parigi i servizi francese e inglese;

-Il pomeriggio della vigilia di Natale 1945, una bomba esplose nella sede centrale del Partito, allora in via Nazionale 243, proprio mentre era in corso una riunione della segreteria presieduta da Togliatti. L’ordigno conteneva un «irritante polmonare all’arsenico», ma anche quella volta il leader ne uscì indenne;

-Altri due attentati furono sventati all’ultimo secondo in Sicilia e a Roma, tra il 1946 e il 1947;

-E arrivò il 14 luglio 1948. Negli archivi della Fondazione Istituto Gramsci, sono conservati gli atti dell’inchiesta riservata del Partito. Fu condotta da Antonio Giolitti, allora dirigente comunista. Riuscì a ricostruire tutti i movimenti di Pallante nei giorni immediatamente prima dell’attentato: non era solo, aveva forti protezioni in ambienti politici di estrema destra e persino nel ministero dell’Interno.

-Poi, nel 1950, ci fu l’”incidente” di Quincinetto, sull’autostrada Torino-Aosta. L’auto su cui viaggiava insieme alla compagna Nilde Jotti fu investita da un pesante autocarro. Togliatti si salvò ancora una volta, ma riportò una forte commozione cerebrale. Le conseguenze non furono lievi neppure sul piano politico. Durante la sua degenza in ospedale, il suo vice filosovietico Pietro Secchia organizzò un golpe interno per destituirlo e prenderne il posto. Il colpo di mano fallì soltanto perché il segretario si rifiutò di trasferirsi a Mosca. «Noi sappiamo come si organizzano queste cose», fu il minaccioso messaggio che Berija, capo della famigerata polizia politica dell’Urss staliniana, inviò ai compagni italiani, insieme all’invito a non abbandonare la retta via.

Potrei continuare ancora… credo che già da questa sequenza si capisca che cosa fu il 14 luglio 1948. Attenzione, dunque, a banalizzare con la leggenda del giovane attentatore smarrito, della pallottola spuntata e della vittoria di Gino Bartali al Tour de France, dopo i saluti in diretta a Pallante dagli studi di Domenica In («se ci segue da casa», gennaio 2019), il Novecento italiano finirà alla Prova del Cuoco.

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