Il voto autunnale e la catastrofe M5S: fine dell’era tripolare

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Non erano ancora state smontate le cabine elettorali e chiusi i seggi che già martedì 6 ottobre il Governo, dopo pranzo, si riuniva per varare un DDL molto pesante: una legge delega per una totale riforma fiscale e la revisione del catasto. Un passo decisamente forte da parte delle forze governative, di sinistra, in primis il PD, con M5S e Forza Italia. La Lega si defila e non partecipa al voto in Consiglio dei ministri. Draghi dichiara candidamente in conferenza stampa che “l’azione del Governo non può seguire il calendario elettorale…”, per cui è solo un ‘caso’ che il governo si è riunito di corsa per farsi dare dal Parlamento la delega fiscale il giorno dopo il voto. Sono solo coincidenze. Ancora più interessante la seconda, sorniona, dichiarazione di Draghi “la riforma del catasto non è una patrimoniale, questo governo non aumenta le tasse”. 

Le promesse, come è noto, in politica impegnano solo chi le ascolta e desidera prenderle per buone. Nessuno per ora dubita di Draghi però, è noto, che è il principale candidato alla presidenza della Repubblica nelle elezioni che si terranno tra quattro mesi, quando la delega quasi sicuramente sarà approvata dal Parlamento con qualche voto di fiducia e attivabile per produrre la solita cinghialesca cucciolata di Decreti legislativi. Lo scenario di Draghi al Quirinale comporterebbe una diversa gestione della delega, che potrebbe essere esercitata da un nuovo capo del governo, che non ha fatto alcuna promessa, per cui ancora più libero di tar-tassare gli italiani sulla casa e su tutte le cose visibili delle famiglie, magari giustificato dal peggioramento dei conti. Teoricamente non c’è da aver paura, volendo ci si può fidare di segretario PD Letta patron di tutta l’operazione fiscale. Rimane il problema del voto degli italiani. In democrazia il rispetto del voto è sacro, appunto, ma gli italiani chiamati alle urne il 3-4 ottobre che cosa hanno detto? Molte cose, certamente non si sono espressi per farsi mettere le mani in tasca dal fisco. Gli election day come quello di domenica scorsa sono sempre un po’ complicati da decifrare, viste le numerose sfide, nelle città metropolitane, nei molti grandi e piccoli comuni, nel collegio uninominale per la Camera a Siena e Roma, infine nella regione Calabria.

Vediamo queste ultime: in Calabria ha vinto nettamente il centro destra e il tentativo di De Magistris ha portato a poco. A Siena il seggio blindato  dal centro-sinistra è andato a Enrico Letta, che ha poco da festeggiare, con il  49,9%. La gara è stata impari. Ogni sera tutti i TG, a tutte le ore, ci informavano visivamente dell’andamento della sola campagna elettorale di Letta, con relative interviste, mentre del suo avversario di centro destra non si conosceva ne il nome ne il volto; un esempio di par condicio poco democratica.

Nelle comunali, visto il risultato di Milano e Napoli, qualificati commentatori si sono affrettati ad assegnare la vittoria al PD. I conti si fanno alla fine con tutti i comuni e le somme raccontano tutta un’altra storia. La sinistra ha vinto dove aveva già vinto, idem la destra; l’unica novità ampiamente prevista è il crollo dei grillini, che nella precipitosa ritirata, simile ad una gloriosa disfatta, hanno liberato una valanga di poltrone sulle quali si stanno avventando i due soliti schieramenti che dominano il sistema politico italiano. Fine dell’epoca tripolare. Un periodo durato meno di dieci anni, che aveva portato una ventata speranza e di importanti novità. Ora si ritornati con i soliti conteggi tra Csx e Cdx, visto che al M5S è rimasto un solo sindaco eletto, oltretutto preso a prestito dalla sinistra.

Un bilancio nazionale sui partiti è possibile, si potrebbe partire da quanto proposto da YouTrend, diffuso da AGI, che ha calcolato che “la lista del PD emerge come quella complessivamente più votata, con il 18,8% – identica percentuale ottenuta in occasione delle Amministrative 2016. Il Movimento 5 Stelle, che in quell’occasione fu la seconda lista con il 17,4%, oggi precipita al 6,3%. Anche Forza Italia dal 2016 perde terreno, scendendo dal 7,2 al 4,8%. Crescono invece la Lega (da 5,2 a 7,4 per cento) e soprattutto FDI, che 5 anni fa fece registrare il 4,6% e oggi è la seconda lista dietro il PD con l’11%.”  Certo, sono conteggi difficili da fare, sono da prendere con cautela per la presenza di molte liste civiche e liste personali di appoggio al candidato sindaco.

Per capire dove sono finiti i voti mancanti si possono osservare i flussi di voto, ad esempio quelli calcolati dal Cattaneo di Bologna, dove emerge che una buona parte dei grillini si sono astenuti, altri sono rientrati a sinistra. Anche la Lega ha avuto una parte di elettorato che ha preferito l’astensione. Un monito per gli esponenti governativi dei due partiti – ad esempio Conte e Giorgetti – che potrebbero avere seri problemi a mobilitare ancora un elettorato che ha bisogno di una spinta emozionale forte per tornare alle urne. In sintesi, è utile il grafico pubblicato da La Repubblica sui comuni al voto, riportato qui sotto, che pur incompleto, è molto chiaro: dai numeri emerge che per ora i due schieramenti sono in parità.

Il risultato finale verrà stabilito dopo i ballottaggi, del 17-18 ottobre, dove molte delle poltrone che a giorni verranno liberate dai grillini sono contese: 60 comuni, in cui solo nove partecipa un candidato del M5S. Nelle grandi sfide a Torino e soprattutto a Roma, la partita è apertissima. Proprio a Roma la Raggi, aiutata da esperti consulenti, ha tenuto la sua bandiera alta, pur arrivando quarta. Una parte di quei voti da lei ottenuti nel 2016, erano di protesta verso la gestione di Roma da parte del PD, ora sono sfumati, ma i voti M5S presi alle europee 2019 li ha trattenuti, come anche la capacità di gioco politico sul risultato finale tra dieci giorni, tra Michetti e Gualtieri, nonostante Conte e i pariolini  di Calenda.

Salvini si agita, sentendosi soffocare, cerca di smarcarsi dal suo ex mentore ora al governo; ha capito che deve mobilitare un elettorato che un domani potrebbe imputargli il costo di una riforma fiscale che si avvia con forti preoccupazioni. In conclusione, con questo voto si registra la fine dell’era tripolare – centrosinistra, M5S e centrodestra – con l’implosione dei grillini. Gli ex-elettori grillini hanno mandato un messaggio chiaro: visto che il loro voto di protesta contro il sistema politico, prima affidato a Grillo e Casaleggio, poi a sindaci fin troppo cauti, infine quest’anno per strane alchimie romane il mandato è finito nelle mani di un avvocato pugliese di stampo andreottiano. Ora, che uno pseudo-democristiano possa guidare la richiesta di cambiamento politico è cosa mai vista, per cui possono solo astenersi per protestare contro tali manipolazioni. Così il ‘non voto’ cresce e crescerà ancora a dismisura. 

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