Il cinismo degli USA: anche dopo l’ultima ‘Sconfitta’ nei guai sono i civili

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Le immagini trasmesse in questi giorni dai media sulla fuga precipitosa degli statunitensi e dei loro alleati dall’aeroporto di Kabul di fronte all’avanzata vittoriosa dei Talebani e la conseguente presa di potere, ricordano quelle del 1975, quando le truppe americane furono evacuate da Saigon con gli elicotteri, decretando la sconfitta nella Guerra del Vietnam, la prima dopo il 1945. Anche in quel caso furono abbandonate a Saigon al loro destino migliaia di persone, con una pesante scia di ritorsioni sui civili. Quella guerra ha procurato dolore a circa tre milioni di vittime tra militari e civili, senza alcun risultato. Ora, si assiste attoniti alla fuga degli USA da Kabul, alla fuga del presidente Ashraf Ghani in Uzbekistan e al conseguente disastro umanitario, che registra finora più di 80.000 morti militari e quasi 350.000 vittime civili, stime destinate purtroppo ad aumentare vertiginosamente con l’assetto al potere dei Talebani.

La guerra, iniziata e propagandata per “difendere” la democrazia, ha lasciato sul campo solo vittime e una enorme quantità di materiale bellico. Hanno voluto attaccare uno Stato sovrano, situato in una landa sperduta in mezzo all’Asia, per catturare Osama Bin Laden, forse nascosto in un luogo imprecisato di quello sventurato Paese. Gli strateghi del Pentagono si erano dimenticati che anni prima avevano fornito armi e supporto ai combattenti mujaheddin, impegnati nella guerriglia contro l’Armata Rossa (1979) rivelatosi un boomerang. La storia purtroppo si ripete, come nella guerra in Vietnam, che aveva già messo in ginocchio l’armata statunitense, così nel conflitto in Afghanistan. Guerra giustificata con il pretesto degli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono, che però non aveva visto afgani coinvolti, casomai molti sauditi, che sono intoccabili.

George W. Bush decise di iniziare la guerra ai cosiddetti Stati “Canaglia”, sospettati di finanziare e di proteggere i terroristi di Al Qaida, attaccando l’Afghanistan, il 7 Ottobre 2001. Oggi è evidente che questa tesi è stata solo un pretesto, che ha sorretto un progetto durato vent’anni, ha martoriato senza valida ragione una Nazione che nulla aveva a che fare con la vicenda delle Torri gemelle. A dieci anni dall’invasione, il 2 maggio 2011, le forze statunitensi condussero un’incursione ad Abbottabad, vicino Islamabad in Pakistan, sostenendo di aver ucciso, nel suo rifugio, il leader di al-Qaida, Osama Bin Laden, poi immediatamente fatto sparire. Formalmente, a questo punto, la guerra aveva raggiunto gli obiettivi previsti. Gli USA e gli alleati decisero però di rimanere per sostenere il nuovo governo afghano. Nel maggio del 2021 è stato avviato il ritiro dall’Afghanistan della Coalizione. La sconfitta, lungi dall’essere solo militare, rappresenta l’inadeguatezza dell’Occidente a opporsi in qualche modo ai fondamentalisti islamici, espressione di una cultura rigidamente conservatrice, fortemente maschilista, che confina la donna in un ruolo subalterno all’interno della famiglia e che nega di fatto molte libertà, perché in contrasto con la Shari’a. I Talebani possono contare ora sull’appoggio economico e politico da parte della Russia e della Cina e pertanto la loro posizione internazionale si è consolidata e i rischi di una guerra allargata dalle prospettive imprevedibili, se venissero nuovamente attaccati, sono tutt’altro che remoti. La vera vittima, in tutta questa complessa situazione, rimane il popolo afghano, tradito dalla fuga degli Americani di fronte a un nemico, che 20 anni fa sembrava facile da abbattere. Ora si assiste ad un ingente flusso di afghani che cerca rifugio altrove, spopolando molti territori della regione. Quelli che restano probabilmente saranno prede dei nuovi padroni, a loro toccherà pagare un prezzo altissimo che Biden e l’Europa avranno sulla coscienza.

Glauco Carlo Casarico

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