La commemorazione del tragico delitto di Sergio Ramelli è passato da poco, CIVICA ora vuole ricordare con lui anche tutte le altre vittime del fanatismo politico di quel periodo. “Tutto comincia con un compito in classe in una scuola di Milano (il Molinari). Il professore chiede agli alunni di descrivere un episodio che li ha impressionati. Sergio Ramelli, che da poco ha aderito al Fronte della Gioventù, scrive un tema sul primo assassinio effettuato dalle Brigate rosse: i terroristi erano entrati in una sede del Msi e avevano ucciso due uomini a sangue freddo. È solo un ragazzo di diciott’anni, ma a scuola le sue idee diventano un caso. Fino a che, il 13 marzo 1975, un commando di giovani militanti di sinistra lo aggredisce con una chiave inglese, la tristemente nota Hazet 36. Sergio Ramelli morirà dopo quarantasette giorni di agonia.” Il caso Ramelli è così riassunto dal saggio appena pubblicato dal titolo emblematico di Hazet 36, scritto da Pino Casamassima con il giudice Guido Salvini, Solferino Editore, 2025. Tra il 1970 e il 1983 sono stati circa duecento gli episodi simili denunciati ufficialmente alle forze dell’ordine (c’è da ritenere che gli episodi reali siano stati molti di più). Soltanto 100, però, sono stati i militanti dell’ultrasinistra «indentificati, accusati o condannati». I numeri li mette a disposizione il giornalista Nicola Rao, che con Il tempo delle chiavi. L’omicidio Ramelli e la stagione dell’intolleranza – Piemme, 2024 – cerca di scavare, attraverso un’indagine delle fonti – sulle dinamiche di una fase storica raccontata tra troppe reticenze e sviste.
Sergio Ramelli attende ancora
Maledetto fu quel tema scolastico, dove Sergio criticava le Brigate rosse e gli esecutori degli omicidi di due attivisti di destra avvenuti a Padova. Il testo apparve in bacheca d’Istituto: “ecco il fascista da punire”. Erano tempi di odio, dove tra gli slogan preferiti suonava alto quell’“uccidere un fascista non è reato”. Detto fatto. E la materia grigia di Sergio cade sull’asfalto nei pressi di casa sua, davanti agli occhi terrificati di mamma Anita, poi anch’essa perseguitata, del padre che morirà di crepacuore poco tempo dopo, del fratello che dovrà cambiare città e della sorellina Simona, che alla sua bimba metterà il cognome Ramelli. Seguirono quarantasette giorni di coma e poi la morte. Ebbe il coraggio di andare contro il “pensiero unico” degli anni Settanta e i criminali di Autonomia Operaia gli spappolarono il cranio con la nota Hazet 36. Ora Poste Italiane lo celebra con un francobollo.
Sergio Ramelli, il giovane del Fronte della Gioventù morto a 18 anni per il coraggio delle sue idee, il 28 aprile è stato ricordato a tutto campo all’Auditorium Testori di Palazzo Lombardia a Milano, dal Presidente della Regione Attilio Fontana, Paola Frassinetti, Carlo Fidanza, e dal Presidente del Senato La Russa. All’ingresso, un cavalletto con il francobollo dedicatogli da Poste Italiane. Presenti anche scrittori, fumettisti, attori e cantanti che sul palco hanno ricordato Sergio nelle loro opere (1). Intramezzato dalle interviste dei giornalisti Matteo Carnieletto, Giannino della Frattina, Paolo Busacca e Paolo Colonnello, il nastro della breve vita di Sergio Ramelli, studente all’Istituto Molinari del quartiere di Crescenzago, interista, entusiasta della vita e delle sue idee, è stato ripercorso dalla barbarie del suo omicidio, passando per la complicità degli insegnanti, fino ad uno Stato e una Chiesa che furono tremebondi, come ha raccontato Riccardo De Corato: «Non solo il Governo voleva impedire i funerali pubblici di Sergio, ma Servello dovette intervenire presso l’Arcivescovo per scovare un sacerdote disposto a celebrargli la messa funebre». Infine, il coraggio del giudice Guido Salvini nel prendere in mano un fascicolo ormai sulla via dell’archiviazione, per aprire l’istruttoria e condannare i colpevoli. Fu, quella del tempo, una tristissima Italia sottomessa, afflitta da opposti terrorismi, con un pensiero fisso di assoluzione verso le frange di sinistra. Per Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione, amica di Ramelli «Sergio era fiduciario al Molinari, mentre io lo ero al Carducci e l’odio di quegli anni era dato dall’”antifascismo militante”. Quando decidemmo di mettere all’Istituto Molinari una targa a ricordo di Sergio, le contrarietà non vennero dagli studenti, bensì da attempati docenti e dirigenti scolastici». Sullo schermo appare il video della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che all’epoca di Sergio non era neppure nata, il cui tono è «Dobbiamo neutralizzare i germi dell’odio e del dolore. Dobbiamo raccontarlo ai giovani d’oggi, e dobbiamo dire loro: difendete le vostre idee con forza, ma fatelo con amore. Come fece Sergio». Ottengono un pubblico riconoscimento i sindaci e assessori di trentaquattro fra paesi e città (tra queste Sesto San Giovanni) che hanno da poco intestato, o lo stanno per fare, una via o una piazza a Sergio Ramelli. Alla chiusura, la parola al Presidente del Senato La Russa il quale, ringraziato Guido Giraudo per il suo primo libro su Ramelli, accenna al desiderio di una pacificazione: «Noi facciamo di tutto per costruire ponti, ma c’è chi sta facendo di tutto per distruggerli». La “pacificazione” purtroppo appare ancora lontana.
Daniele Carozzi
(1) Sono intervenuti:
-il Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana «Sergio è un figlio d’Italia, e come tale va ricordato». –Gabriele Albertini con un «quando torneremo al governo di questa città, dedicheremo a Sergio Ramelli una via o una piazza» e in sala echeggia qualche “ti rivogliamo sindaco”;
– coloro che hanno editato, messo in musica o in fumetto la storia di Sergio;
– Andrea Arbizzoni con il primo libro di Ramelli “Una storia che fa ancora paura”, Giuseppe Culicchia con “Uccidere un fascista”, il quale spera che l’Istituto Molinari venga intestato a Ramelli, Nicola Rao con “Il tempo delle chiavi e l’omicidio Ramelli”, Federica Venni con “Il ragazzo che non doveva morire”, l’attore Paolo Gussali con “Chi ha paura dell’uomo nero”, la fumettista Paola Ramella con “Le idee hanno bisogno di coraggio”, Federico Goglio con “Quando uccidere un fascista non era reato” e infine Enrico Ruggeri autore di “Un gioco da ragazzi” che canta “Il poeta” e “Quello che le donne non dicono”.
Intervistato dal sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, Ruggeri afferma: «Non so quanti miei colleghi avrebbero dovuto essere oggi qui. Forse la metà non sono venuti perché non intendevano ricordare questo ragazzo e l’altra metà lo avrebbero ricordato ma non volevano esporsi. Quindi detesto entrambi”.