In riferimento all’esperienza fatta compiere ai bambini di una scuola dell’infanzia in Veneto, condotti in visita ad una moschea, vorrei limitarmi stringatamente ad alcune annotazioni. È un fatto avvenuto, quindi è un dato di realtà. Provo a considerarlo non anteponendo giudizi, ma attivando una riflessione seria nel merito. E nel metodo. Sul fatto mille son sono state le opinioni espresse, fra loro fortemente antitetiche (nella foto sotto la moschea di Susegana).
Il fatto, circoscritto, non è privo di conseguenze che la scuola e la società dovranno gestire, o almeno discuterne. Anche per desumerne indicazioni. Al tema non si addicono facilonerie quindi vorrei trattarlo in uno spazio adeguato, che non può essere solo quello di un “social”. Anticipo qui una sintesi, anche se non sembrerà tale. Il fatto di cui si parla pone la premessa, a scuola e non solo, di una “esperienza conoscitiva, paritaria e reciproca” non solo fra l’ambito cristiano e musulmano, ma in prospettiva ed opportunamente, fra tutte e tre le principali religioni monoteiste presenti in Italia. Anche quindi fra i bambini di tutte e tre le fedi, senza escluderne in futuro eventuali altre per le quali si ravvisasse l’esigenza di ricomprenderle nello stesso percorso didattico. L’ immigrazione può modificare il quadro e discriminazioni non ne vogliamo: a scuola non ci sono “figli e figliastri”. Certo: un inizio è un inizio, epperò ogni cosa deve partire col “piede giusto”. Si comincia con un “interlocutore”, ma se lo scambio non procede con reciprocità e coerenza, poiché esistono anche le sinagoghe e le chiese, oltre alle moschee, e se lo scambio non si completa “erga omnes”, l’iniziativa potrebbe restare monca, dubbia. O fallimentare. Potrebbe assomigliare ad un’operazione di proselitismo, che certo non vuole essere. Ci sono conoscenze fondamentali che non possono essere portate facilmente alla comprensione di tutti: per gli alunni della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria, gli argomenti richiedono gli adattamenti commisurati alle diverse maturità degli allievi. Escludiamo però il ricorso a banalizzazioni o edulcorazioni per rendere accettabili e comprensibili certi contenuti, salvo rischiare di storpiarli. Entriamo nel vivo della questione. I bambini “cristiani” che sono stati condotti in moschea hanno imparato l’atto più significante e significativo della fede islamica, in ginocchio con la fronte poggiata a terra e le terga sollevate, rivolti verso la Mecca, che è l’”atto di sottomissione” ad Allah e che non può essere definito una semplice “postura”, a meno che si voglia mancare di rispetto. Una personalità nota in ambito internazionale e rappresentativa (anche) di quella cultura ha osservato, su Facebook, che “l’atto” citato, se “simulato”, è irriguardoso. L’atto di prostrazione è riservato ai credenti per il significato e la sacralità che lo caratterizza e non può essere ridotto a gioco. Direi che è irriguardoso non solo per l’islam, ma sorvolo per brevità. Vi sono anche altre criticità per un atto di sottomissione in ambito educativo, e chi ci lavora lo sa. Tornando al tema, qui il nodo è “saper interagire con l’islam”, che è iscritto in un suo quadro dottrinale, per cui se si vuole trattare di islam e con l’islam bisogna averne una conoscenza non approssimativa. Non è cosa impossibile anche se richiede molto tempo e impegno. Data la giovanissima età dei visitatori, forse non si è detto ai bambini che in moschea uomini e donne vi stanno separati; che nelle moschee regolamentari i fedeli vi accedono da ingressi distinti: il portone principale per gli uomini e una porticina defilata per le donne. Inoltre, alla moschea è vietato l’accesso ai non musulmani, salvo occasioni specifiche sorvegliate dagli addetti. Nella moschea si prega in arabo, e sempre in arabo, lingua sacra, si leggono e recitano i versetti del Corano. Per convertirsi occorre recitare in arabo una formula, la “shahada” e mostrare di conoscere alcune nozioni fondamentali della dottrina. Entrare nell’islam è facile, uscirne è teoricamente impossibile per la condanna a morte per gli apostati. La donna musulmana in pubblico si mostra coperta da capo a piedi, e via discorrendo. È qui chiaro che contenuti di questo tipo sono improponibili ai piccoli e trattabili solo con gli allievi più grandi. Ma se per i più piccoli entrare in moschea è poco più che aprire loro la porta su un “mondo strano”, l’apertura di quella porta immette in prospettiva in una realtà antitetica, fatta di contenuti problematici, strutturalmente opposti al nostro mondo. Se ne tenga conto per gli sviluppi a seguire. Ma procediamo. Come è noto, si insegna più con l’esempio che con le parole. A questo proposito alle bambine più grandicelle non sarà sfuggito che le maestre accompagnatrici in moschea avevano i capelli coperti da un velo, come si rileva dalle varie foto circolanti sui media. Dire alle bimbe che il velo viene indossato per rispetto al luogo è una semplificazione che rasenta l’inesattezza. La donna musulmana deve comparire in pubblico coperta da capo a piedi altrimenti quel che la donna mostra di sé può costituire una tentazione per l’uomo. Tentare un uomo equivale a offenderlo. La donna deve coprirsi per non offendere gli uomini. C’è di più: la donna islamicamente coperta deve essere considerata dagli uomini una “sorella nella fede” e non devono quindi molestarla. Alle altre di fatto può capitare di tutto, ma qui la questione va rapportata all’età degli allievi. Resta il fatto che il velo è soprattutto un’imposizione di quel patriarcato maschilista verso il quale il mondo femminile occidentale e ora anche settori avanzati delle donne musulmane stanno lottando. Se una insegnante non musulmana ritiene di doversi velare in moschea, attua una scelta di sua competenza. Qualcuna per eccesso di zelo si vela se incontra l’imam per strada o se gli dà udienza a scuola e in questo caso mi pare che sia un pessimo esempio, su cui ritengo superfluo dare spiegazioni, specialmente se parlo con insegnanti. Rispetto di sé stesse, dignità e libertà personale da imposizioni assurde, si comunicano anzitutto con l’esempio. Poiché nelle nostre classi di scuola dell’infanzia e primaria, c’è un numero crescente di bambini musulmani, questa che ho chiamato “esperienza conoscitiva paritaria e reciproca” non li può né li deve escludere da contatti con culture e religioni diverse dalla loro. Hanno anche loro il diritto di poter essere condotti in una chiesa, di ascoltare un sacerdote e perché no, di imparare eventualmente e senza alcuna imposizione il segno della croce e il suo significato, così come ai bambini cristiani, come abbiamo visto, s’è insegnato il gesto più qualificante del culto islamico. Ancorché, data la giovane età, non ne abbiano colto il senso e il valore. Il fatto che siano piccoli non significa che sia lecito approfittare della loro ingenuità: “Maxima debetur puero reverentia”. Per portare in visita i bambini musulmani in chiesa, così come è stato fatto, pare, per i bambini cristiani in moschea, dovrebbe essere chiesto il consenso ai genitori. Staremo a vedere. Nelle nostre città da millenni sono presenti le sinagoghe, perché mai dovremmo tacerne? Se dovessimo continuare “sull’onda” degli scolaretti in moschea, tanto i bambini cristiani quanto quelli musulmani ormai compresenti in classi miste, dovrebbero essere condotti anche in una sinagoga, dove avrebbero l’opportunità di ascoltare un rabbino e conoscerebbero l’uso rituale della Kippah per i maschi, nonché il suo significato. Perché in sinagoga, no? Resta da vedere se ci saranno genitori cristiani e/o musulmani, contrari alla visita alla sinagoga: il che potrebbe minare la praticabilità di un’esperienza ipotetica, comunque ancora tutta da prefigurare. Mica possiamo dare ai bambini un esempio di mancanza di considerazione proprio verso gli ebrei. È vero che i bambini ebrei nelle nostre scuole sono pochi, ma non è un buon motivo per ritenere irrilevante la questione. Ricordiamoci poi dell’importanza che hanno nell’educazione e nella nostra società i temi dell’olocausto e dell’antisemitismo. Ora, per forza di cose, rinvio ad altra sede una trattazione più esaustiva su rapporti interreligiosi qui non focalizzati. Per concludere: quei bambini veneti in moschea hanno costituito un fatto e come ho detto in apertura ora bisognerà gestire le conseguenze del fatto e desumere cosa eventualmente fare o non fare. Senza voler criticare nessuno, mi chiedo se per caso sia mancata una accorta programmazione previsionale informata, o una riflessione collegiale preventiva a tutto campo, al di là di generiche buone intenzioni. Buone intenzioni che non si possono escludere o negare a priori, ma non è detto che ci portino sempre verso la meta cui si mira.
Vittorio Zedda
Dirigente scolastico in quiescenza
Foto copertina tratta dal Corriere del Veneto
Nella foto a sinistra Stefania Bazzo, dirige la scuola dell’infanzia cattolica di Santa Maria della Vittoria a Susegana (Treviso) finita nella bufera, a destra la moschea e i bambini in visita il 30 aprile 2025. Le tre classi dell’asilo — con bambini di quattro e cinque anni; i più piccoli sono rimasti a scuola — hanno raggiunto a piedi il centro islamico che il venerdì ospita la preghiera. L’obiettivo, racconta Bazzo al Corriere del Veneto, era «far vedere ai compagni il luogo in cui pregano gli amici» e rafforzare un progetto didattico sull’intercultura e sulle religioni avviato già a settembre. Una volta entrati, i piccoli — incuriositi «dal grande tappeto rosso» — si sono spontaneamente seduti a terra, hanno ascoltato l’imam Avnija Nurceski spiegare i cinque pilastri dell’islam e, prima di uscire, hanno recitato una preghiera “per la pace”: chi con le mani giunte, chi orientato verso la Mecca. Il gesto, sottolinea la dirigente, «non era una liturgia imposta, ma l’imitazione di quanto l’imam aveva mostrato».
Ottimo articolo .Abito a Treviso e Susegana si trova a pochi km da Treviso A molti l’ iniziativa della dirigente dell’ asilo non è piaciuta soprattutto per la giovane età dei bambini e per averli fatti inginocchiare come i musulmani
Qualcuno si scandalizza per il crocifisso appeso nelle aule di un Paese cristiano, per la PROPOSTA di ascoltare una messa prima dell’ingresso a scuola, e poi portiamo i bambini ancora inconsapevoli a visitare una moschea, neppure fosse un museo… Stiamo davvero degenerando… Sottoscrivo comunque tutte le osservazioni sensate, motivate, equilibrate del professor Zedda.
Dice la collega Bazzo che i bambini sono stati condotti in moschea «…far vedere ai compagni il luogo in cui pregano gli amici…» «far vedere ai compagni il luogo in cui pregano gli amici» l tutto nel contesto di “un progetto didattico sull’intercultura e sulle religioni avviato già a settembre”. E i bambini hanno partecipato ad una preghiera “per la pace” secondo ” l’imitazione di quanto l’imam aveva mostrato». Infatti nella foto si vede esattamente questo. Certamente che per i bambini della scuola dell’infanzia i loro compagni di qualsiasi paese o religione sono “amici”. Ci mancherebbe altro. E il compito della scuola non può essere diverso da quello di favorire il senso della fratellanza e dell’amicizia. Anche perché , crescendo , quei bambini può darsi che si accorgano che dare amicizia non sempre vuol dire essere contraccambiati con amicizia. Basta leggere loro o far leggere “Pinocchio” di C. Collodi per imparare questa triste lezione che la vita prima o poi ci riserva. Ma non è questo un discorso da farsi ai bambini della scuola dell’infanzia, è ovvio. E nemmeno seminare nelle loro teste dubbi e sospetti. Dico che continuando, opportunamente , con progetti di intercultura e conoscenza delle religioni negli ordini di scuola successivi ( scuola primaria , media , ecc.) non si potrà certo continuare ad edulcorare una verità ahimè scabrosa . Faccio solo un esempio , stringato, volutamente circoscritto , tratto fra i tanti che potremmo trovare non solo nel Corano ma nella dottrina islamica , dedotta dagli hadith, dalla Sirat , dalla Sunna e da ciò che nei secoli ha integrato , appunto la dottrina. Ed è riferito proprio all’amicizia dei “fedeli”, i musulmani con “le genti del Libro” , gli ebrei e i cristiani. A parte che la dottrina prevede che l’Ultimo Giorno non verrà se non dopo che i musulmani avranno ucciso tutti gli ebrei , e cioè solo dopo che l’ultimo ebreo sarà stato ucciso” (da un musulmano) , già nel Corano , nella Sura IV , versetto 90 è contenuta una disposizione secca e categorica , riferita alla non liceità di un ‘amicizia con gli infedeli , cristiani o ebrei che siano , così espressa : ” Non scegliete fra di essi amici o alleati” E la storia dei rapporti fra i fedeli di queste religioni , ci dimostra che quel precetto coranico, anche quando addolcito o mitigato da argomentazioni o interpretazioni di comodo, continua ad essere applicato in modo drastico in varie parti del mondo.
Correzione : il precetto “Non sceglietevi tra loro né amici né alleati” è la parte conclusiva del versetto 89 .Chi volesse approfondire comunque legga anche i versetti precedenti e seguenti , che hanno contenuti anche più “duri”.