Siamo alle solite: chi valuta i valutatori…?

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Un tema attuale, specie di questi tempi è chi valuta i valutatori: dentro, fuori e sotto il Governo. Tra questi ultimi, ci sono i Rappresentanti delle varie componenti della Scuola, che sono in fibrillazione, media scatenati al solo sentire le parole ‘valutazione del lavoro del personale’. Si tratta di un film già visto. Ogni volta che in Italia si propone di sottoporre il Sistema scolastico ad una valutazione, dalle scuole, al lavoro dei docenti e dei dirigenti scolastici si scatena il finimondo. Sembra che la scuola non possa essere valutata, alla pari di altri settori lavorativi. Nel secondo dopoguerra, la valutazione era stata inserita nel sistema scolastico italiano nel 1958 da Aldo Moro con l’istituzione del “Concorso per merito distinto”, che dava a docenti, con competenze e una congrua anzianità di servizio, la possibilità di ottenere una progressione di carriera, partecipando a un concorso per esami e titoli o per soli titoli, bandito annualmente. Oltre alle “note di qualifica” che il preside dava a ciascun insegnante alla fine dell’anno: se “insufficiente”, ritardava lo scatto biennale; se invece “ottimo” per tre volte, scattava l’anticipazione. I Decreti Delegati del 1974 abolirono questi strumenti valutativi, definiti anacronistici e classisti sull’onda del 1968, senza sostituirli con strumenti più aggiornati. Prevalse l’idea di ridefinire lo stato giuridico degli insegnanti, nelle scuole di ogni ordine e grado, basato sull’unicità della funzione docente, ispirata alla libertà di insegnamento, sancita dalla Costituzione. Sulla base di questo principio, unito a quello dell’egualitarismo di matrice sessantottina, scomparve ogni forma di valutazione dell’operato dei docenti: restò in vigore invece una tipologia di valutazione, soltanto su richiesta dell’interessato. L’organo preposto per questa attività era il Comitato per la valutazione del servizio. Questa valutazione non si concludeva però con un giudizio complessivo e neppure era traducibile in punteggio. Quindi si trattava di fatto di una non valutazione, priva di qualsiasi utilità.

Negli anni novanta prese avvio anche nella scuola la privatizzazione del rapporto di lavoro, con lo scopo di ricondurre questo rapporto sotto la disciplina del Diritto Civile e di regolarlo mediante contratti individuali e collettivi, come negli altri settori lavorativi. In virtù di questo rinnovamento dello stato giuridico dei docenti, la valutazione tornò ad essere al centro di quattro contratti nazionali dal 1995 al 2007, senza però riuscire a tradurre in atti concreti le numerose proposte, per i veti incrociati e per la mancanza di volontà politica. Fallito anche il “Concorsone” del Ministro Luigi Berlinguer, l’ultima riforma della scuola che ha tentato di attuare un sistema di valutazione strutturale dei docenti è stata quella varata dal Governo Renzi nel 2015, meglio nota come ‘Buona Scuola’, l.107/15, dove è prevista l’assegnazione di un bonus per la valorizzazione del merito del personale docente. A questo scopo è stato istituito un fondo, ripartito a livello territoriale tra le istituzioni scolastiche e il Dirigente Scolastico, sulla base dei criteri individuati dal Comitato di valutazione dei docenti, assegna annualmente agli insegnanti meritevoli una somma del fondo sulla base di motivata valutazione. A scanso di equivoci, questa forma di valutazione non è obbligatoria per i docenti e non produce alcuna progressione di carriera. Qui è il nocciolo del problema. I docenti, dopo aver vinto il concorso e dopo aver superato l’anno di prova, non hanno più nella loro carriera una valutazione periodica, come in altri Stati dell’Unione Europea e di conseguenza neppure una progressione di carriera. L’unico avanzamento previsto è quello di diventare Dirigenti Scolastici, superando il relativo concorso. Questa non valutazione è deleteria, perché non premia il lavoro svolto da tanti docenti che danno l’anima per la scuola e permette invece ad altri di fare poco o nulla, senza rischi. Il problema è allora quali strumenti utilizzare per effettuare questa valutazione. Se si esclude di resuscitare le ‘note di qualifica’ e di utilizzare le prove INVALSI, valide solo per misurare gli apprendimenti degli alunni, occorre guardare agli altri sistemi di valutazione in uso nell’Unione Europea, reinserendo dei parametri meritocratici cancellati dall’egualitarismo sessantottino. Anche il lavoro svolto dai Dirigenti Scolastici deve essere sottoposto a valutazioni periodiche. La guida di Istituti Comprensivi Verticalizzati, con larga autonomia amministrativa, richiede responsabilità e competenze adeguate ai tempi.

Redazione Scuola

Glauco Carlo Casarico

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