IL PRETE MARTIRE, I MIGRANTI E LO STATO

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I numeri sui migranti sono emersi nell’audizione del ministro degli Interni Lamorgese al Comitato Schengen giovedi 24 settembre. Davanti alla Commissione speciale Schengen a palazzo san Macuto la Lamorgese snocciola i numeri sui migranti provenienti dalla Libia: 9.123, sul totale di oltre 23mila persone sbarcate nel complesso da inizio anno.

Gli altri provengono dalla Tunisia, oltre 9.000 migranti, principalmente per via della forte crisi economica tunisina, che ha determinato un crollo del PIL e la recente formazione di un governo tecnico per gestire il crollo dell’economia. Inoltre, il ministro spiega che lo Stato mantiene cinque navi in mare, che ospitano oltre 2.238 migranti, per la quarantena. Conclude la sua relazione con una precisazione sulla vicenda del sacerdote ucciso a Como, don Roberto Malgesini: “ è stato un atto efferato di un uomo tunisino, presente in Italia dal 1993, irregolare prima espulso nel 1996, poi revocato per matrimonio nel 2008, poi di nuovo espulso con due provvedimenti, l’ultimo di aprile 2020. Condannato per vari reati, non risultava pericoloso per la sicurezza nazionale”. Intervengono vari membri a segnalare le situazioni critiche in Sicilia, Friuli e Ventimiglia; il sen. Zuliani rileva che oramai l’Italia è diventato un paese “attrattivo” per molti abitanti dei paesi del sud Mediterraneo, viste le modalità di ingresso molto facilitate, con la sanatoria Bellanova e altri benefit.

Nel pomeriggio il Corriere della Sera riporta la notizia dello spostamento da Como, che si è reso necessario per evitare tensioni con gli altri detenuti. Don Roberto, il «prete degli ultimi» accoltellato a morte il 15 settembre scorso, faceva infatti servizio anche in carcere a Como ed era benvoluto dai detenuti. Durante il trasferimento, il 53enne irregolare, già destinatario di due provvedimenti di espulsione, che ha prima ammesso l’omicidio e poi ritrattato, avrebbe però cercato di picchiare un agente. È stato denunciato per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, un’accusa che si aggiunge a quella di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione.

Su questa vicenda abbiamo ricevuto da Vittorio Zedda, scrittore e preside in pensione, profondo conoscitore dell’islam, questo contributo.

UN PRETE MARTIRE, NON COMPLICE
Per me non c’è alcun dubbio: martire, nonché testimone di carità cristiana. Leggo, però, su alcuni organi di stampa opinioni di diverso segno. Pur col dovuto rispetto verso don Roberto Malgesini, che a Como ha pagato con la vita un atto di umanità verso il prossimo, c’è chi sulla stampa o sui social non può far a meno di ricordare che il sacerdote ucciso aveva cercato di aiutare il suo futuro assassino, Mahmoudi Ridha, a restare in Italia, nonostante ben due decreti di espulsione, cui il clandestino tunisino non aveva ottemperato. Orbene chi agevola o protegge un comportamento illegale si rende imputabile di favoreggiamento. E se il personaggio che è stato per qualsiasi motivo protetto si macchia di azioni criminali nel periodo della sua permanenza illegale in Italia, il suo “protettore” può essere imputabile di corresponsabilità più o meno gravi, secondo i casi e i riscontri. Quindi aiutare un clandestino già più volte espulso a restare in Italia potrebbe configurarsi, una volta accertati i fatti, come un illecito di varia gravità o almeno come comportamento potenzialmente pericoloso verso la società e l’ordine pubblico. Da ciò l’accusa di complicità al sacerdote, per giunta vittima. Prescindendo dal tragico epilogo, peraltro gli argomenti addotti a carico di don Roberto, con discutibili  forzature, potrebbero anche apparire vagamente plausibili. Forse don Roberto avrebbe dovuto convincere il clandestino a costituirsi. Non so se l’abbia fatto. Ho letto però che aveva consigliato a Mahmoudi di rivolgersi ad un avvocato. Quindi le due persone di cui si parla presumibilmente avevano preso concordemente in considerazione un percorso di uscita del tunisino da una situazione di illegalità aggravata da reiterazioni di illeciti non precisati. E in ogni caso l’assistenza di un avvocato sarebbe stata necessaria, sia che la polizia avesse catturato il clandestino, sia che lo stesso si fosse deciso a costituirsi. In ogni caso il probabile tentativo di don Roberto di sostenere il clandestino nel suo percorso di uscita dall’illegalità, seppur in prospettiva attraverso un probabile temporaneo ingresso in carcere, già mi pare attenui o forse annulli la frettolosa accusa di complicità a carico del sacerdote. Ma se anche così non fosse, viene spontaneo chiedersi perché ben due provvedimenti di espulsione non abbiano avuto, almeno il secondo, un’esecuzione coatta da parte della magistratura, tramite la forza pubblica. Se gli organi dello Stato prendono provvedimenti resi reiteratamente inefficaci, la responsabilità, se non la complicità, di tale inefficacia non potrebbe essere eccepibile a carico delle Autorità che non hanno esercitato la necessaria vigilanza sul caso in questione? A quanto pare, il decreto di allontanamento della persona indesiderata si concretizza unicamente con la consegna all’espulso del relativo provvedimento scritto. Dopo di che il destinatario del provvedimento, pur in assenza di controlli da parte delle autorità, dovrebbe autonomamente ottemperare al decreto, ma non di rado non ne tiene alcun conto e continua la sua vita da clandestino in Italia, vivendo di espedienti più o meno leciti.

Indirizzerei l’accusa di complicità verso altri soggetti, piuttosto che sul povero don Roberto. Mahmoudi viveva a Como da oltre 25 anni, collezionando nel tempo provvedimenti giudiziari relativi a numerosi reati, per nessuno dei quali fra l’altro è mai stata accertata ed emessa una diagnosi di squilibrio mentale. Per Mahmoudi è comparsa immediatamente sulla stampa la stessa difesa d’ufficio: pazzia, peraltro mai diagnosticata da alcuno. Dopo aver pugnalato alle spalle e poi sgozzato don Roberto, dice la stampa, l’assassino ha dichiarato alla polizia che il sacerdote era “morto come un cane”, con fredda lucidità scevra di qualsiasi pentimento. Perché l’aveva ucciso? Perché, secondo la cronaca, Mahmoudi imputava al sacerdote di avergli consigliato l’avvocato sbagliato. “I miei guai sono anche colpa tua”, avrebbe detto l’assassino alla sua vittima mentre la uccideva. Una vittima in cui continuo a non vedere il reato di complicità. Una complicità che vedo in certa politica di governo che continua ad accettare l’ingresso in Italia di clandestini, che hanno eliminato i propri documenti di riconoscimento per rendere più difficile alle autorità italiane la verifica della loro identità nonché dei presunti diritti alla protezione e all’asilo politico o umanitario. E l’uso dei mezzi della Marina e della Guardia Costiera ai fini del traghettamento verso l’Italia di clandestini in avvicinamento alle nostre coste, posto in atto anche in assenza di eventi di naufragio, avvenuti o temuti, fa pensare a complicità che precedono di molto e a ben altro livello quelle presunte e non accertate di don Roberto. Clandestini che vengono fatti sbarcare nei nostri porti e accolti in strutture d’accoglienza dai quali gli “ospiti” fuggono in tutte le direzioni, senza che le Autorità mostrino di essere in grado di garantire in modo efficace il controllo di persone che sul nostro territorio avrebbero dovuto essere custodite e vigilate in attesa delle verifiche sui diritti dei singoli all’accoglienza. Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel nostro paese trova origine in responsabilità poste a livello assai più elevato di quello del povero sacerdote, immolato sull’altare della carità cristiana, proprio per mano di un clandestino cui quotidianamente procurava la prima colazione e un alloggio di fortuna. Martire di carità, senza dubbio. E forse, ancor di più, martire delle complicità della politica nella illegalità dilagante ad ogni livello, che angustia i cittadini e uccide innocenti.

Vittorio Zedda

 

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